I segreti del polietilene
Non molti di noi lo sanno, ma può essere affascinante scoprire che molto di frequente, quando diciamo “plastica”… ci stiamo riferendo al polietilene, o politene, che si abbrevia spesso con la sigla PE. Con una produzione annuale di ben ottanta milioni di tonnellate, infatti, il polietilene è senza dubbio il tipo di materiale plastico più diffuso al mondo. Viene utilizzato prevalentemente per produrre una grande varietà di svariati tipi di confezioni, dalle borse di plastica, alle pellicole (i famosi film polietilene), a svariati tipi di contenitori come le bottiglie. Nonostante esistano molte diverse varietà di polietilene, quasi tutte condividono la formula chimica di base, essendo costituite da lunghissime catene polimeriche di C2H4, e l’origine: il tanto diffuso e famoso polietilene fu infatti inventato per errore.
Accadde in Germania, nel gabinetto chimico dove lavoravano tre chimici: Hans Von Pechmann, Eugen Bamberger e Friedrich Tschimer, nel 1898. Von Pechmann stava riscaldando del diazometano, quando fortuitamente produsse una materia bianca e di consistenza cerosa: le analisi dei suoi colleghi ne rivelarono la conformazione polimerica di base, e I tre diedero al composto il nome di “polimetilene”.
La prima tecnica di sintesi realmente applicabile in campo industriale del polietilene fu però scoperta ben trentacinque anni dopo, in Inghilterra: ma anche qui, si trattò di un errore. Lavorando alla ICI, Eric Fawcett e Reginald Gibson ritrovarono, dopo avere esposto ad elevatissima pressione una mistura di etilene e benzaldeide, una sostanza bianca e cerosa – la stessa di von Pechmann. Tuttavia, ad avere causato tale effetto era stata un’accidentale infiltrazione di ossigeno, e per lungo tempo fu arduo replicare l’esperimento.
Ci vollero due anni perchè Michael Perrin, un altro chimico impiegato all’ICI, riuscisse a capire come poter riprodurre a piacimento la procedura, e altri quattro perchè venisse ufficialmente avviata la produzione industriale del Polietilene. Ma le sue vicissitudini non erano ancora finite: durante la seconda guerra mondiale, ne vennero scoperte le caratteristiche schermanti dei segnali radio, e l’esercito inglese ne impose la segretezza, lo ritirò dal mercato, e lo impiegò per la schermatura e l’isolamento dei cavi dei radar. Conseguentemente, nel ’44, la produzione riprese, ora anche negli Stati Uniti, sempre con licenza ICI. Tuttavia, la grande scoperta che tutti cercavano, un modo per produrre il polietilene a temperature e pressioni meno proibitive, arrivò solo negli anni ’50, con l’utilizzo di nuovi catalizzatori, e lo sviluppo dei due metodi principali di fabbricazione, lo Ziegler, in Germania, con parametri ribassati e facilmente raggiungibili, e il Phillips, più economico e semplice da gestire.
Malauguratamente, pur essendo versatile e diffuso, il polietilene non è esente da problemi. Il più grave è quasi certamente costituito dal fatto che non è biodegradabile, e quindi si accumula indefinitamente, generando gravi problemi di inquinamento. Un Paese che vive profondamente questo tipo di problema è il Giappone, in cui la soluzione dell’inquinamento da plastica è stata catalogata come un potenziale mercato da 90 miliardi di dollari. Una speranza, di recente, è venuta in tal senso dalla scoperta affascinante di un sedicenne Canadese, Daniel Burd, che ha scoperto come due batteri siano in grado di consumare più del 40% della massa delle borse di plastica in un tempo inferiore a tre mesi.